Il Padrone dei Piccioni
Il parco che circonda il vecchio manicomio comunale era delimitato da una cancellata in ferro battuto alta e aguzza.
L'erba cresciuta a dismisura non temeva i rari passanti. I lunghi anni passati ad infoltirsi senza il controllo di alcuna mano l avevano resa spavalda e robusta, da stelo a cespuglio, dal verde al bruno di esili tronchetti leggeri d'aria e di spuma solida.
Gli alberi nel parco erano tutti molto alti, pini e cipressi, tristi complici di un gioco immobile, sospettosi occhi per menti confuse, case nascoste per uccelli affamati.
Il Padrone dei piccioni aveva ordinato alle sue bestie di abitare gli alberi del parco e di stare lì ogni notte ed ogni giorno osservare la gente e mangiarne le briciole.
Assimilavano i piccioni gli scarti di ogni uomo, brandelli di pane e di pensiero, scarti di pollo e di rabbie confuse, gocce di panna avariata e attimi di sgomento. Volavano i piccioni di giorno e non si curavano del luogo. Alcuni si mescolavano ai piedi affrettati delle piazze del centro altri atterravano nelle zone residenziali più ricche, molti frullavano per le periferie.
Rapivano scorci di sguardi a uomini incoscienti dei loro attimi perduti.
Il Padrone dei piccioni ogni sera tornava dai suoi animali, con le spalle appoggiate allo steccato arrugginito e freddo chiamava al raduno i volatili e lasciava che ognuno gli esprimesse gli attimi persi dando in cambio semi e fagioli.
I piccioni, non sapevano bene come spiegarselo, si sentivano assai più leggeri dopo aver lasciato il loro carico al padrone mentre non percepivano un così netto cambiamento di "peso" nel rubare attimi di emozione agli uomini.
Il processo inverso aveva forma terribilmente differente.
Come un gas cinese che ha legge contraria: tanto lentamente si dovrà espandere quanto più velocemente andrà compresso per ottenere le condizioni di partenza.
Piaceva molto ai piccioni lavorare per il loro padrone e non solamente perché era fonte sicura di cibo quanto più per questa sensazione di leggerezza.
Non era così usuale nel mondo animale rendersi conto di quale piacere si provi ad essere allo stato naturale e aver coscienza del fatto che, per venirlo a conoscere ne dovevano essere in un certo senso privati.
I piccioni non avevano idea di quale fosse l'utilità del loro mestiere e non se ne preoccupavano.
Il Padrone invece se ne preoccupava assai, ogni giorno i suoi occhi affondavano di qualche millimetro nel cranio rendendo sempre più sporgenti gli zigomi, le guance s'incavavano ricoprendosi di un ispido pelo mantenuto sempre corso ma mai nascosto sottopelle.
I denti sempre bianchissimi si rigavano di sottili nervature simili a capillari ma color avorio.
Lo sguardo diveniva più avido e pungente, a chi capitava d'incocciarlo, provava un brivido per paura di non potersi più liberare da tale penetrazione coatta, quegli occhi lanciavano uncini a quattro denti che lasciavano cadere nei serbatoi lacrimali piccoli semi piccanti che avrebbero raccolto in sé e fatto germogliare ogni motivo di lacrima o pianto.
I piccioni avevano il compito di girare per le strade e cercare i semi fuoriusciti dagli occhi degli uomini, gravidi di emozioni e portarli poi al loro Padrone.
Il Padrone piantava i semi. Lui pianta madre, prima patata marcia in terra faceva crescere e fiorire le piantine e si nutriva del loro nettare per provare a conoscere ed ingrandire il suo potere.
E così, in maniere differenti, ma sempre con l'aiuto dei piccioni il padrone aumentava la sua conoscenza dell'uomo, o così credeva.
In tre mesi il Padrone aveva subito in tre mesi una notevole trasformazione, anche a livello fisico ma i piccioni non se ne avvedevano.
Il Padrone era più magro e più alto e i suoi capelli erano duri come spaghi e puntuti tanto che a toccarne gli estremi veniva dolore.
I suoi occhi uncinati da arma si erano trasformati i simbolo ? , un punto di domanda.
Sentiva che vi era qualcosa ad unire le differenti emozioni e sensazioni umane, non riusciva a trovarvi un nome adeguato ma gli tornava alla mente ogni volta che osservava l'acqua, cambiare di forma a seconda del recipiente ove questa veniva rovesciata.
Era una sorta di energia capace di variare la sua forma all'occorrenza in paura, tristezza gioia o sicurezza.
Pensava:
-Il nome è riduttivo, potrebbe rinchiudere questa strana energia in una gabbia fastidiosa-
E decise di provarla al posto di nominarla.
Doveva trovare un'anima alla quale affidare i suoi piccioni.
Così si mise in cammino in mezzo alla campagna poi in periferia poi per il centro cittadino e di nuovo daccapo entrando ogni volta negli occhi dei passanti per cercare l'anima adatta.
E trovò difatti una donna priva di serbatoio lacrimale, ella non poteva essere inseminata ed era adatta.
Il suo sguardo funzionava.
Le si avvicinò e le chiese per qual motivo non otesse piangere.
- Perché sono mezza donna e mezza pianta, per questo non posso piangere.-
Il Padrone mise la donna su una coperta, la avvolse e se la legò alla schiena di modo che potesse poggiare il mento sulla sua spalla, respirare e guardare la strada dalla stessa altezza.
La portò dinanzi allo steccato e le disse:
- Qui ci sono i miei piccioni, osservali e dà loro da mangiare senza che ti diano nulla in cambio perché altrimenti si sentirebbero troppo pesanti-
Rimase ancora cinque giorni con lei, assieme costruirono un rifugio sopra un pino tra le fronde scure e balsamiche.
La donna capiva le parole del Padrone e il Padrone fu contento di questo e decise che era degna di fiducia.
Salutò i piccioni col fuoco e partì.
IL RITORNO DEL PADRONE DEI PICCIONI
Cinque anni ancora avevano permesso alle erbe dure non solo di trasformarsi in grovigliosi arbusti ma di coprirsi pure di spine e di riuscire a mostrarsi sempre più crudeli e credersi onnipotenti, il mondo civile degli uomini non ci badava, non gli importava delle pianticelle, fossero graziose e profumate o rugose e sicure.
La donna continuava a cibare i piccioni non chiedendo loro nulla in cambio come il Padrone le aveva detto. I piccioni però non stavano bene e non volavano più come una volta, il loro ventre era grosso gonfio di Dio sa solo cosa.
Tornò il padrone ma il suo sguardo non era variato di molto, vi si mimetizzava solo un poco di malinconia in più.
Salì sulla capanna, si sedette sul cuscino più morbido e strinse al petto la schiena della amica ritrovata.
La donna disse al Padrone:
-Vieni, non posso parlare qui tra legno e fronde-
Così i due uscirono fuori dallo steccato guardando prima i tronchi, molti, poi le fronde, tutte confuse in un'unica nuvola scura, senza limiti, poi i tetti e i muri nascosti del vecchio manicomio, pi il cielo che pareva pronto a fucilare il mondo di acqua pesante.
-Dimmi donna, come stanno i miei piccioni?-
Chiese il Padrone poggiando il mento sulla spalla della Donna-Pianta per guardare il cielo dalla sua stessa altezza, la Donna-Pianta chiuse il suo petto tra quattro braccia chiedendone due in prestito al suo amico stanco e disse:
-I tuoi piccioni sono malati, io non ho chiesto nulla a loro, mai, in cambio del cibo ma non per questo, come forse tu credevi avrebbero fatto, hanno smesso di mangiare attimi d'uomo e non potendoli scaricare su di me li hanno conservati in ventre per te, per tutto questo tempo, soffrendo. Mi spiace, io non potevo far nulla e loro parevano esserne coscienti. Aspettano te. Hanno sempre e solo aspettato te ma il dolore può aver cambiato la loro benevolenza in altro pur lasciando invariata l'attrazione che questi hanno per te.
Inoltre rammenta che aver tanto assimilato dell'uomo può aver anche trasformato le loro menti e non solo i ventri caldi-
-Ho capito-
Rispose il Padrone e chiamò i piccioni.
Quando i piccioni s'accorsero dell'arrivo del Padrone gli volarono pesanti incontro in una muta sincronia.
Il padrone li accolse sulle braccia, sulle gambe e sul ventre.
I piccioni si sollevarono in aria portandosi appresso il loro Padrone e giunti ad una certa altezza tutti assieme deflagrarono ed il Padrone precipitò a terra assieme alle mille gocce di emozione umana.
Un grosso tronco gli ruppe la schiena e un altro ramo aguzzo e celato da minute foglioline lo infilzò come spada senza filo così impedendogli di esalare l'ultimo respiro sulla la terra.
La Donna-Pianta sentendosi sola e non potendo piangere mise ù radici e divenne cipresso, fuori dallo steccato, ma nessuno de ne avvide.
Note del curatore
Questo manoscritto è emerso dalle profondità del database SQL come un piccione che risale dalle catacombe digitali, portando con sé frammenti di emozioni dimenticate. L'ho trovato nidificato tra le tabelle wp_posts, dove aveva accumulato anni di polvere binaria, come semi mai germogliati nei serbatoi lacrimali del codice. Il recupero ha richiesto pazienza: ogni query era un richiamo nel parco abbandonato del vecchio server, ogni risultato un volatile che tornava al suo padrone con attimi rubati di memoria.